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Le arti belle in Toscana da mezzo secolo XVIII ai dì nostri

254869
Saltini, Guglielmo Enrico 47 occorrenze
  • 1862
  • Le Monnier
  • Firenze
  • critica d'arte
  • UNIFI
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Le arti belle in Toscana da mezzo secolo XVIII ai dì nostri

medio evo, alla realità materiale messe avanti l’idea, al disonesto servaggio la libertà e l’eguaglianza, e trionfò delle tradizioni pagane colla fede

Le arti belle in Toscana da mezzo secolo XVIII ai dì nostri

Ma se al regio architetto Paoletti si deve grande riconoscenza per quello che fece, più assai conviene tributargliene per quello che seppe insegnare

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, mutarono le sorti della Toscana, e quel lavoro rimase sospeso, finché sotto i Francesi lo finiva il Cacialli. Pure non mancarono al Poccianti, nominato

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strada che va da Orsanmichele al Bigallo; utilissima opera che non gli fu concesso vedere ultimata.

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riedificata con suo disegno (1818-32), l’atrio maestoso che serve d'ingresso al Collegio Tolomei in Siena (1818), la chiesa e la canonica di Fogliano

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GIUSEPPE MANETTI fiorentino (n. 1761, m. 17 febbraio 1817) studiò in Roma l’architettura eoa molto profitto, e al suo ritorno in patria, appena di

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m. 5,167. Ogni 17 archi evvi un pilastrone che provvede alla maggiore stabilità dell’edifizio, e anche al suo adornamento. Tutta l’opera si eleva m

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andarono disperse. Fu questa per lui la più grande delle sventure, e tanto se ne accorava che infermatosi, un lento morbo lo condusse al sepolcro. Lasciò

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meschini, e il dispendio dell’opera non concesse attuarla. Un decreto del 4 febbraio 1841 ordinava al Bettarini di recarsi a Tolone per istudiare sul

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a spirale con assai vaghezza ed accorgimento; la Tribuna di Galileo eretta nel 1840 al Museo di Fisica e Storia Naturale, e il palazzo della prima

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, nè a sufficenza esposte e dichiarate, da cavarne idee generali, che rispondano al diffìcile quesito se l’arte sia o no veramente in progresso tra

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chiarire del fatto. Ogni lume dell’arte, ogni salutare precetto era dimenticato: studiare il vero, inutile; gli antichi, pedanteria; ispirarsi bene al

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imbarbarito del tempo, che tanto si compiaceva di codesti materiali trovati, in cui tutt’al più si loda l’abilità di un lavoratore. Mancato lo Spinazzi (17

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Superiore in merito al Carradori e di gran lunga, come quello che primo stampò un orma sicura sul nuovo campo dell’arte, fu STEFANO RICCI fiorentino

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acconciarsi presso un lavoratore di alabastri in Volterra. Applicò quindi al disegno nell’Accademia fiorentina, e ben presto si dette a lavorare di

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Contemporaneo al Bartolini e non indegno di stargli appresso fu il fiorentino LUIGI PAMPALONI (n. 1791, m. 17 dicembre 1847). Dei meriti di questo

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e scegliere da essa quelle parti che meglio rispondono al fantasma concepito, era il segno a cui mirava coll’alto intelletto il Fidia toscano, sebbene

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monumento di Genova, che quel grande statuario lasciò incompiuto. Ma neppure al Freccia bastava la vita a condurre l’opera, di cui solamente fece il

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Santarelli fiorentino (n. primo d’agosto 1801) trasse dall’esempio del padre, sommo incisore di numismi1, l’amore al far di rilievo; e studiata l'arte

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Chiese, esprimenti al naturale i ritratti colorati delle persone; perchè in sul cadere dei secolo passato uomini di grandissimo ingegno la fecero

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CLEMENTE SUSINI fiorentino (n. nel gennajo 1765, m. 22 settembre 1814), attese al disegno nella nostra Accademia e riuscì in breve a dipingere e far

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addetto al R. Museo. Le sue preparazioni di animali, di piante, di fiori e di frutti, gli organismi vegetabili, e quant’altro in somma può essere utile allo

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’incarico di formare un intiero gabinetto anatomico per l’Imperatore d’Austria, ebbe mestieri di circondarsi di aiuti. Ma dei quattro ammessi al suo

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vero risiede, volle seguitare i più strani capricci, e si ridusse una matta convenzione, quasi diremmo una parodia. Pietro Leopoldo I, salito al trono

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novembre 1812), compie la triade de’ buoni pittori lucchesi del secolo XVIII. Fatti anch’esso in Roma gli studj, vi ebbe fiorita scuola fino al 1802, nel

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colorito, ed espressione somma nella testa del Santo, già sul punto di cogliere la palma dei martiri. Un’opera così bene condotta fruttò subito al giovane

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e studiata composizione; il giuramento dei Sassoni al primo Napoleone dopo la battaglia d’Iena; gli stupendi freschi della sala d’Ercole nella

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amarono di molto affetto; e quando fu commesso al primo il quadro della Giuditta per la cappella d'Arezzo, volle ad ogni modo che fosse allogato l’altro

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dipinto per la chiesa di San Paolo a Napoli. Ma una delle opere che più fece onore al Nenci sono i soggetti che disegnò maestrevolmente sulla Divina

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loro vita intellettuale per isbalzi dal cattivo al buono, ma camminano lentamente verso il meglio. E noi ogni qual volta ci facciamo a considerare la

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al maestro. Fece anche per la chiesa di San Remigio, l'Arcivescovo di Rems che dà il battesimo a Clodoveo re de’ Galli, pittura di grandi dimensioni

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Firenze, la Samaritana al pozzo nella sua villa di Fiesole, il deposto di Croce nel Duomo di Pistoja, e quella vaghissima danza della prima giornata del

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una sala al real palazzo, e che vengono stimate il suo capolavoro, e le due lunette per la Tribuna di Galileo in cui rappresentò: Leonardo da Vinci che

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giovinetto Francesco, che lo andava aiutando in quell’opera, piacque al principe Leopoldo, il quale postogli singolare affetto, con reale stipendio, che del

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intorno alla parte tecnica dell’arte. — Giorgio Berti di Firenze (n. 1794.) ebbe da natura molti di quei doni che al pittore convengono. Benché allievo

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Leopoldo fatto incisore della Zecca fiorentina, ufficio nel quale si meritò molta lode. Poi nel 1789 succeduto al padre nella direzione della

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, disegnò anch’esso e incise assai bene a bulino. Stette prima molto tempo in Parigi, e poi tornato in patria successe al padre nell’insegnamento; ma

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colla famiglia, dallo Zuccarelli; Giove e Leda, e Narciso al fonte, dal Viera; l’Orlando e Olimpia e la Vergine del silenzio, dal Caracci; Didone sul

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Contemporaneo al Bartolozzi si levò nell’arte un altro fiorentino, VINCENZIO VANGELISTI (n. 1744 circa, m. in Milano nel 1793), meno grande, se

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macchia, coi quali condusse i suoi principali lavori. Appartengono al primo le tavole pel Museo Borbonico e la raccolta dei sarcofagi sopra ricordati

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(1803); e questa con bell’esempio di non più veduta celerità, avendone al tempo istesso inciso il ritratto all’acqua forte sul rame, e tirate alcune copie

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figliuola. Ma il rame che fece nome in Europa al nostro Morghen fu la Giurisprudenza del medesimo Sanzio, tanta v’è dentro purità nel disegno

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sopra forme di zolfo in modo da assomigliare al marmo pario e ai più duri alabastri. Di questa sua scoperta, che avvivò in quei luoghi una nuova

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Giovita Garavaglia di Pavia (n. 18 marzo 1790, m. in Firenze il 27 aprile 1835), fu allievo prima dell'Anderloni, al quale prestò aiuto nella

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. 8 maggio 1792). Nel 1825 espose all’Accademia di Milano, Gesù bambino presentato al tempio, da un quadro di fra Bartolommeo da San Marco, e n’ebbe il

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modo con rara abilità. Preparavasi ad illustrare la basilica di San Miniato al Monte, quando la morte lo rapì immaturamente mentre dava di sè tanto

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E qui torremo finalmente comiato, dolenti di aver poco e forse mal sodisfatto al merito degli artisti di cui osammo favellare. Non pertanto valga

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